Siria : la ferma risposta di Mosca e Pechino alle minacce di guerra di Obama.

di Sergio Ricaldone

Il piano imperialista euroamericano di potere proclamare in Siria la rapida vittoria di una nuova “primavera araba”, prima di azzardare il più impegnativo scontro militare con l’Iran, sta entrando nella fase critica. La prima delle due ipotesi iniziali - abbattere il governo di Bashar al Assad con le rivolte popolari, fomentate da agenti turchi e britannici - è sfumata rapidamente. La seconda - iniziare una guerra per procura con truppe mercenarie (come a Bengasi) e vincerla sul campo di battaglia - si sta dimostrando assai più difficile del previsto. Ecco allora rispuntare, evocata da Barak Obama, la logora, sputtanata ipotesi di un intervento militare diretto per evitare che il fantomatico arsenale di armi chimiche e biologiche di Bashar al Assad venga usato contro il popolo siriano. Suppongo che Saddam Hussein si starà rivoltando nella tomba.

I pretesti per una guerra sono spesso molto banali, ma visti i risultati delle precedenti spedizioni militari degli Stati Uniti e della Nato negli ultimi vent’anni ci sarebbe da sorridere di fronte all’arrogante mancanza di immaginazione del presidente della superpotenza. Ma la crisi economica e la depressione incombono, i risultati si preannunciano devastanti e le elezioni presidenziali di novembre non sono rassicuranti per l’inquilino della Casa Bianca. Ergo, occorrono gesti e decisioni forti che ridiano credibilità al declinante gigante americano e al diavolo il premio Nobel per la Pace. Siccome per motivazioni analoghe sono scoppiati due conflitti mondiali non stupisce che le due capitali antagoniste di Washington le abbiano prese molto sul serio.

Dopo le ripetute parole di condanna del governo di Mosca contro le minacce di intervento in Siria da parte della Nato, il 22 agosto scorso, in un comunicato ufficiale della’agenzia Nuova Cina, il governo di Pechino ha preso duramente posizione contro le minacce pronunciate qualche giorno prima dal presidente USA, Barak Obama. Facendo eco alla posizione di Damasco, Pechino definisce “ipocriti i discorsi sull’eliminazione delle armi di distruzione di massa e sulla necessità di proteggere i cittadini siriani” e sottolinea la necessità che “il mondo sia vigile di fronte al fatto che queste parole irresponsabili hanno come unico scopo l’escalation della sanguinosa situazione in Siria e danneggiano in modo grave le prospettive di risolvere la crisi per via politica. Ancora una volta le potenze occidentali stanno cercando dei pretesti per un intervento in un paese del Medio Oriente”.

I toni, insolitamente duri, e il momento scelto dalla Cina per criticare la politica imperialista di Washington confermano che la fragile border line tra le minacce e l’intervento diretto della Nato sta per essere superata ancora una volta. E, quel che è peggio, con la destra guerrafondaia israeliana impegnata per conto suo a raddoppiare le iniziative provocatorie contro l’Iran. I killers del Mossad hanno infatti già colpito a morte scienziati e tecnici iraniani e i bombardieri di Tel Aviv scaldano i motori impazienti di completare l’opera su larga scala.

La lunga miccia accesa dalla Nato a sostegno e per conto delle eufemistiche “primavere arabe” si sta pericolosamente avvicinando all’epicentro della polveriera medio orientale, Siria e Iran, e rischia di farla esplodere con conseguenze e proporzioni assai più catastrofiche.

E’ perciò comprensibile che nelle dure prese di posizione di Pechino e di Mosca contro la crescente aggressività imperialista – solitamente espresse con molta cautela e paziente fair play diplomatico – si avverta ora l’intenzione dei due governi alleati di cominciare anche a mostrare i denti. Washington e l’UE sono dunque avvertiti : non scherzate col fuoco. La guerra in Siria è già cominciata da tempo in modo subdolo e strisciante e, anche se non dichiarata, è alimentata da aggressori esterni, con armi e sostegni logistici, e si propone di rovesciare con la forza il legittimo governo di Damasco inviso all’Occidente e alle petromonarchie che controllano la Lega araba.

Ovviamente, il quadro di questo conflitto scodellato dai media all’opinione pubblica occidentale è di natura assai diversa. Sono ormai diversi mesi che si parla della Siria, le dimensioni militari dell’aggressione esterna sono ormai più che allarmanti, ma la musica mediatica non è cambiata di una sola semicroma. Da una parte ci sarebbero i cosiddetti “insorti”, disarmati e inermi, santificati come campioni della libertà e della democrazia. Dall’altra ci sono i feroci repressori del governo di Damasco, super armati e sostenuti dagli ancor più detestati governi di Mosca e Pechino. In mezzo ci sono i civili, soprattutto donne, vecchi e bambini, massacrati a migliaia dal fuoco micidiale dei T 72 e dei Mig di Bashar al Assad. Anche il numero delle vittime è affidato a una contabilità variabile e facoltativa ma comunque finalizzato a suscitare orrore per un regime spietato che sarebbe sull’orlo del collasso.


Chi sono i cosiddetti “insorti siriani”? Sono davvero il popolo oppresso che insorge contro il tiranno ? A giudicare dalle lingue che parlano, da come e da chi sono armati e dalle laute paghe che percepiscono (in dollari), riesce difficile immaginarli popolo vendicatore e inferocito del “quarto stato” che assaltano la Bastiglia. E credo che nemmeno i loro sponsor e finanziatori siano del tutto innocenti e tanto meno credibili come modelli di democrazia.

Tant’è che qualche involontaria nota comica si è aggiunta alla cronaca sanguinaria del conflitto quando viene presentata, come prova a carico del “regime totalitario di Damasco”, la severa condanna espressa dalle “democratiche” monarchie e califfati arabi (modello Arabia Saudita, Emirati del Golfo e Giordania) che con i loro petrodollari hanno alimentato ovunque il fanatismo talebano e i tagliagole di Al Qaeda.

Senza andare troppo a ritroso nel tempo, è difficile trovare soggetti democratici tra i golpisti e i massacratori messi al potere dalla Casa Bianca, in ogni parte del mondo, in questi ultimi decenni. Da Santiago a Giakarta, da Kabul a San Salvador, da Pristina a Tripoli (fermiamoci qui perché l’elenco sarebbe troppo lungo), è stato un susseguirsi di colpi di stato e di interventi militari favore di tiranni fascisti, trafficanti di droga, o integralisti islamici. Ossia criminali di guerra riciclati e promossi da tagliagole a campioni della libertà dopo un rapido passaggio in lavatrice,. Nessuno di loro è mai stato trascinato davanti al Tribunale internazionale dell’Aia. In Siria il copione si sta ripetendo senza cambiare una virgola.

Ora, dopo la minaccia di intervento militare di Obama e il consenso ottenuto dalla cancellerie Occidentali, pare che anche su alcuni giornali che hanno indugiato per mesi sulla santificazione degli insorti e la demonizzazione dei cattivi baathisti di Damasco, comincia a farsi strada qualche frammento di verità.

Il Fatto Quotidiano, citando una corrispondenza di Robert Fisk dell’ Indipendent, e Repubblica, con un lungo articolo di Andrea Tarquini da Berlino, fuoriescono per qualche ora, nelle torride giornate di agosto, dal solito consumato schema e ci raccontano come la guerra siriana, prima ancora di essere ufficialmente dichiarata e affidata agli stati maggiori della Nato a Bruxelles, sia già in atto da diversi mesi. E come i ribelli anti Assad dispongano già, oltre che di una imponente massa di armi leggere, medie e antiaeree, anche di una assistenza militare diretta da parte delle potenze Nato. Germania e Gran Bretagna in primo luogo.

Eccoli dunque gli “insorti” di Homs, Aleppo e Damasco : sono mercenari turchi, ceceni, afgani, libici, libanesi, persino sudamericani discepoli di Videla e Pinochet, appoggiati dalla variopinta delinquenza comune siriana ben nota ai frequentatori di quel paese. Alcuni sono veterani addestrati in siti americani, modello Forte Bragg, nel quale sono stati formati a suo tempo i famosi “squadroni della morte”. Sono stati reclutati con discrezione dai servizi segreti occidentali e pagati con i petrodollari dell’Arabia Saudita. Esattamente come è avvenuto in Libia una manciata di mesi prima.

Navi spia, droni, commandos anglo-tedeschi, truppe speciali in supporto delle azioni degli insorti. Fatti denunciati, non dalla Pravda, ma scritti nero su bianco da “Repubblica” il 20 agosto scorso. Il resoconto di Andrea Tarquini sull’intervento dei due servizi segreti, l’MI5 di sua maestà britannica e della Bundesnachrictendienst (BND) di Angela Merkel, appoggiati dai droni della U.S. Air Force, sembra un noir di John Le Carrè. E siccome non si tratta di ilazioni o indiscrezioni ma di fatti documentati e raccontati da Gerhard Schindler, presidente del BND e sicuramente condivise dal suo collega britannico Johnatan Evans, direttore dell’MI5, non ci resta che riassumerne i passaggi più salienti.

Secondo la Bild am Sonntag, una nave spia della Bundesmarine incrocia per conto della BND al largo della costa siriana. Può controllare con sofisticate apparecchiature elettroniche ogni movimento delle truppe di Assad fino a 600 km. di profondità in territorio siriano e trasmetterle agli insorti, tramite la base Nato di Adana in Turchia. Da questa base sono pronti al decollo contro obbiettivi siriani i moderni F16 turchi di Erdogan.

L’intervento britannico avviene in modo più diretto. Veterani dello Special air service addestrano i migliori reparti delle forze ribelli siriane. Anche se sono dipendenti da aziende di vigilanza e sicurezza private godono del completo appoggio politico del governo di Londra.
Gli agenti speciali inglesi, partono da Cipro, raggiungono le basi turche, poi penetrano in territorio siriano ed entrano in azione. La loro presenza e quella dei droni sul campo di battaglia è testimoniata dal Times che rivela come abbiano aiutato e dato supporto logistico ai “rivoluzionari” in azioni contro le truppe di Damasco, compresa un imboscata contro 40 mezzi blindati diretti verso una città. Altre centinaia di soldati delle forze speciali britanniche, americane, israeliane si tengono pronte a prendere il controllo del micidiale arsenale chimico del governo di Damasco.

Dal canto suo la Francia insiste, con Holland, per l’istituzione di una “no fly zone” sulla Siria. Lascio immaginare cosa potrebbe succedere se aviogetti della Nato minacciassero di impedire il sorvolo e l’atterraggio all’aeroporto di Damasco di aerei di linea russi o cinesi.

Se si trattasse di una partita a poker potrebbero sembrare dei grossolani bluff. Ma a questo punto – anche se amici cubani mi dicono che una escalation militare della Nato in Siria potrebbe concludersi come lo sbarco alla Baia dei Porci - direi che ottimismo, distrazione e negligenza politica da parte nostra sarebbero totalmente fuori luogo.